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Abitare la Terra 2030 è un servizio di informazione gratuito curato da Fondazione Fontana onlus e sostenuto dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani assieme al Non Profit Network-CSV Trentino. Fondato sui temi della promozione e sviluppo del volontariato, della cooperazione internazionale e tutela dei diritti e promozione della pace, si muove nella cornice dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

Specchiarsi nell’altro

Immagine brochureQuesta settimana gli approfondimenti di Abitare la Terra 2030 sono dedicati a Il Gioco degli Specchi, un’associazione culturale e di promozione sociale, iscritta nell’albo delle associazioni della Provincia Autonoma di Trento, che dal 1994 cerca di valorizzare le potenzialità positive dei fenomeni migratori sulla cultura e la società. Ne parliamo con alcune delle tante anime che danno vita ogni anno alle attività di questa importante realtà trentina.

Intervista a cura di Alessandro Graziadei.

La vostra storia parte da lontano. Era il Trentino degli anni ’90 quando è cominciata. Ma come e perché è cominciata?

Alla fine degli anni ’80 Trento vedeva una forte immigrazione di giovani lavoratori soprattutto maghrebini, tanto che si era sentita la necessità di fondare ATAS Onlus, l’Associazione Trentina Accoglienza Stranieri, per rispondere alle loro necessità. In quest’ambito i volontari hanno dato vita ai primi corsi di italiano nel ’94, all’inizio in sordina, con un rapporto uno a uno, in un ‘ripostiglio’ nella vecchia sede ATAS di via Mattioli, poi via via allargandosi a occupare l’ufficio che il direttore ci lasciava a disposizione. Era già la volta degli albanesi e di chi stava fuggendo dalla guerra in Jugoslavia e cercava di ricostruire qui la sua vita. Intorno a quei tavoli si stava raccogliendo un mondo di cui sapevamo ben poco. Per questo abbiamo cominciato, accanitamente, a leggere, sia testi della letteratura dei paesi di provenienza, sia testi scritti da immigrati in Italia o altrove, che ci permettevano di capire qualcosa in più delle persone che avevamo di fronte. Infatti come diceva il nostro maestro di allora, Armando Gnisci, docente a Roma, è più facile leggere una testimonianza scritta che non fermarsi a parlare con il senegalese davanti al supermercato. Cominciava allora anche in Italia la cosiddetta letteratura migrante che esprimeva con chiarezza il pensiero, i desideri, le aspettative e le delusioni di chi arrivava.

Dalla relazione con le persone e dall’amore per i libri, così è nato il progetto culturale Il Gioco degli Specchi. Perché è stato subito inevitabile condividere e presentare al pubblico e nelle scuole quanto ‘scoprivamo’.

I giornali parlavano di bellicose ‘tribù balcaniche’? E noi presentavamo i grandi classici della letteratura jugoslava con l’aiuto dell’ormai amica rifugiatasi a Trento da Smederevo.

Prima i banchi con i libri, all’esterno di Mandacarù o nel gelo della fiera di S.Lucia, poi dal 2002 gli incontri con gli autori/autrici, i primi con la collaborazione della SIL, la Società Italiana delle Letterate. Nel 2003 il primo festival di letteratura migrante, un’intera felice settimana di incontri, letture e film.

Come i libri con le voci dei loro personaggi, anche i film ci consentivano di catturare l’attenzione ed alimentare l’empatia verso lo straniero.

Divenuto sempre più importante l’impegno, è stata poi creata l’associazione che ha preso il nome del progetto, il Gioco degli Specchi, continuando con i corsi di italiano e le attività culturali già avviate.

Il vostro nome fa riferimento al gioco e all’idea che sia sempre possibile rispecchiarsi nelle altre persone, anche le più differenti. Un’idea di comunità aperta e cosmopolita che a molti sembra più ideale che reale. Cosa ci racconta la vostra esperienza?

Si tratta certo di ‘specchiarsi nell’altro’, ma anche di ricordare il nostro passato (e presente) di emigrati, la situazione speculare IMMI/EMI. Dagli inizi abbiamo dedicato attenzione anche agli scritti dei nostri emigrati e lavorato in stretta collaborazione con l’associazione Trentini nel mondo, non a caso tra i fondatori di ATAS Onlus. È incredibile come si ripetano gli stessi pregiudizi in tempi e luoghi tanto diversi. Tendiamo a dimenticare la nostra storia, anche quella atrocemente coloniale degli italiani non proprio brava gente. Anche a questi aspetti abbiamo cercato nel nostro lavoro di dare il giusto rilievo.

Ma per tornare al nome: il gioco è un esperimento, gioioso, per noi un tentativo di affrontare una realtà nuova come l’arrivo di tante persone, tante culture, tante lingue in una città piccola come Trento. La comunità aperta si costruisce un po’ alla volta, con lo sforzo di tutti, nel rispetto, ma la realtà preme, trasforma, in modo costante ed inevitabile. Non sa di cosa parla chi dice che le migrazioni si devono fermare, semplicemente è impossibile fermarle. Da sempre gli uomini migrano per cercare condizioni di vita migliori o possibilità di vivere, perché fuggono da guerre e persecuzioni o per semplice curiosità. Creare barriere significa solo creare morte e sofferenza infinita.

Trento è inevitabilmente e decisamente cambiata, e noi siamo stati felici in questi anni, per quanto imparavamo e conoscevamo, per le persone che abbiamo incontrato e con cui ci siamo legati.

I volontari della vostra associazione sono stati i primi ad organizzare corsi gratuiti di italiano per stranieri in Trentino, capendo che l’incontro e le opportunità passano soprattutto attraverso la lingua e quindi l’ascolto dell’altro. Con quali risultati?

Negli anni sono ormai migliaia le persone transitate per i nostri corsi. Molti sono stati solo di passaggio a Trento ma altri ci capita ancora di incontrarli: sono nati nuovi legami, la loro rete sociale si è ampliata e si sono inseriti nel tessuto della città.

I corsi sono innanzitutto luogo di relazioni, prima ancora che di apprendimento e qui stiamo parlando di adulti che hanno molto da trasmettere e far conoscere a chi insegna loro l’italiano. Sono stati loro i nostri primi volontari, ci hanno suggerito ed aiutato in tutte quelle attività che permettevano di conoscere la loro cultura d’origine.

Quando la migrazione è diventata stabile, con i ricongiungimenti familiari e la presenza di famiglie, si è rivelato necessario dedicare dei corsi specifici per le donne che restavano prigioniere nel loro ambito linguistico d’origine perché non potevano accedere ai corsi o per preclusioni culturali o perché avevano bambini piccoli da accudire.

Siamo riusciti qualche volta ad aiutare i genitori ad organizzare corsi in modo che i bambini non perdessero la lingua madre e abbiamo sempre cercato di valorizzare le lingue presenti in città, ma resta ancora una meta riuscire ad avere nelle scuole corsi nella lingua madre dei bambini frequentanti, aperti a tutti. 

Come è cambiato negli anni il fenomeno migratorio in Trentino e come sono cambiate le vostre attività?

Il fenomeno migratorio in Trentino, come nel resto d’Italia, ha visto un importante mutamento dei flussi migratori che, a partire dagli anni ‘10, hanno visto una crescita della componente dei richiedenti asilo sul totale dei migranti in arrivo in Italia. Questo cambiamento è il costante effetto dell’irrigidimento dei decreti flussi dopo la crisi economica del 2008. Le provenienze dei migranti sono così aumentate e a fianco dei “vecchi” e consolidati flussi migratori se ne sono aggiunti di nuovi dalle inedite provenienze. Nello stesso periodo, il nostro sistema di accoglienza, sia a livello nazionale che provinciale, invece di rafforzarsi, si è indebolito. Il primo colpo pesante che ha limitato è arrivato dalla riforma “Minniti” che ha eliminato un grado di giudizio in tribunale per i richiedenti asilo, diminuendo così i diritti individuali dei richiedenti asilo e il numero degli aventi diritto all’accoglienza. Il secondo colpo, ben più pesante a livello sistemico, è stato inflitto dai decreti sicurezza 1 e 2 a firma Salvini del primo governo Conte. Anche se in parte i decreti sono stati rivisti e corretti, hanno lasciato ferite importanti al sistema di accoglienza a livello nazionale che ha visto diminuire da un giorno all’altro il numero degli aventi diritto all’accoglienza e i servizi ad essi dedicati. Anche a livello territoriale il ruolo del pubblico è stato rivisto e ridimensionato sulla spinta delle nuove norme nazionali e locali promosse dalla nuova giunta leghista. E’ proprio dopo quest’ultimo cambiamento che i servizi di volontariato come il nostro sono diventati sempre più essenziali nel supporto dei migranti. Alcuni servizi – per esempio lo sportello o alcuni corsi ad hoc – sono nati proprio per rispondere a queste nuove necessità, senza però la pretesa né l’intenzione di sostituirsi ai servizi pubblici tradizionali erogatori dei servizi di accoglienza. Abbiamo visto quindi negli ultimi 10/15 anni un panorama migratorio in continuo mutamento e con una costante crescita della componente delle migrazioni forzate, a fronte di un sistema d’accoglienza pubblico sotto incessante attacco – sia mediatico, sia sostanziale –  che ha visto una netta riduzione dei beni e servizi offerti, contrazione solo in parte mitigata da un rinnovato e crescente impegno del volontariato. 

Con i ricongiungimenti familiari la migrazione è diventata stabile e il Trentino, come l’Italia, è abitato ora da persone con doppie o più appartenenze, italomarocchini, italoalbanesi, italomaliani e via dicendo. Purtroppo non ancora tutti riconosciuti come cittadini a tutti gli effetti, nemmeno chi è nato in questo paese e ne ha assorbito anche a scuola la cultura.

Molte persone che frequentavano i nostri corsi hanno a loro volta fondato delle associazioni per far conoscere ai Trentini la loro cultura d’origine e per realizzare progetti di aiuto a chi è rimasto in patria.

Si sono moltiplicate in città le iniziative culturali e l’attenzione ai temi della migrazione, del rapporto infraculturale, dell’interconnessione tra i vari luoghi del mondo anche lontanissimi. Il Gioco degli Specchi ha quindi progressivamente abbandonato le settimane di grandi eventi per dedicarsi maggiormente ad un lavoro in profondità, in particolare nelle scuole e con la formazione degli insegnanti. 

Come è cambiata, se è cambiata, dal vostro osservatorio privilegiato, la percezione del fenomeno migratorio da parte della popolazione locale?

Avvertiamo una grande confusione e un uso sempre più improprio e superficiale delle parole: nella stragrande maggioranza dei casi il termine “migrante” è assimilato a quello di “richiedente asilo” o di “rifugiato politico.” Grazie al delirio di onniscienza a cui danno voce i vari social network e alla frequente mancanza di responsabilità di chi fa comunicazione, tutti ci sentiamo in grado di giudicare se una persona abbia o meno il diritto di spostarsi. Si è persa di vista la complessità del fenomeno migratorio e ci si arroga il diritto di stabilire chi, perché e da quali Paesi sia giusto migrare. Tutto questo succede anche a causa di una normativa impostata esclusivamente sull’emergenza e non su una visione di lungo termine. Migrare per scappare da una guerra o perché si è perseguitati politici appare lecito e trova giustificazione nella suddetta normativa, ma se soltanto si accenna alle altre cause che da sempre spingono le persone a viaggiare, allora si inizia subito a storcere il naso. È stato svuotato di significato il termine “accoglienza” e creato un sistema che genera e alimenta molteplici distorsioni.  Ci si è attaccati sempre più al concetto di “straniero” come categoria e non come individuo.

Il Gioco degli Specchi è Presidio del Libro di Trento dal 2006. Da allora  organizza la annuale Festa dei lettori e nell’ambito di questa porta la sua attenzione sulla letteratura della migrazione. La vostra esperienza dimostra che il libro (e anche il film) può essere un’occasione di incontro?

Dal 2001 al 2016 l’associazione ha organizzato rassegne cinematografiche e librarie (www.ilgiocodeglispecchi.org/le-settimane-del-gioco-degli-specchi.html), in cui sono stati invitati decine di artisti, scrittori, registi, in incontri aperti al pubblico e nelle scuole. L’associazione ha creduto e crede che la cultura, nelle sue manifestazioni più concrete, apra mondi, permetta di abbattere stereotipi, di far conoscere gli altri in modo creativo, privo di pregiudizi, avvicinando le persone. Queste attività hanno vissuto un ridimensionamento negli ultimi anni, tuttavia prosegue la promozione di libri e film nelle sezioni dedicate del nostro sito web (www.ilgiocodeglispecchi.org) e vengono utilizzati i libri anche in altre occasioni, ad esempio è stato fatto negli incontri del  Caffè delle Donne.

Le storie che avete ascoltato in questi anni sono centinaia, ma c’è, almeno in parte, qualcosa che le accomuna? (In alternativa c’è una storia che possa accomunarne molte…)

Le accomuna innanzitutto la rivendicazione del diritto a costruire la propria storia, a esserne protagonisti, a poter fare le proprie scelte, in sintesi a fare progetti di vita. Poi, purtroppo, il denominatore comune di tante storie è la delusione. Chi si mette in viaggio ha aspettative alte, spesso si gioca l’esistenza e l’arrivo non è all’altezza di quanto sperato e delle difficoltà anche mortali incontrate. Non è solo questione di sogni irrealizzabili, molti potrebbero andare a lavorare a Dubai, si dirigono invece verso l’Europa e verso il mito del rispetto dei diritti umani. Ma l’Europa tiene sempre meno fede ai suoi valori fondanti e alle sue stesse leggi. 

Nel 2009 la vostra assemblea dei soci ha deciso l’adesione all’associazione LIBERA partecipando anche alla fondazione di LIBERA Trentino, costituitasi nel 2012. Una decisione che in qualche modo è maturata per la vostra esperienza?

Il fenomeno mafioso purtroppo non è tipico soltanto dell’Italia meridionale, ma, senza sparare e con la forza del suo capitale, ha conquistato tutti i territori in cui c’è ampia possibilità di lucro. Ne è testimonianza il processo per lo sfruttamento di una delle ricchezze regionali, il porfido, e i beni sequestrati alla criminalità anche in Trentino Alto Adige, case, terreni, vigneti. Partecipare alla fondazione di Libera Trentino ci è sembrato il minimo per non abbassare mai la guardia su queste tematiche. 

Tornando al presente, l’applicazione della vigente normativa in materia di accoglienza crea distorsioni, per non parlare delle cosiddette “sanatorie”. Una delle cause che più frequentemente spingono le persone a migrare è la ricerca di un lavoro dignitoso e tanti sono i cosiddetti “migranti economici” che fanno storcere il naso ai commentatori seriali. Ma ottenere i documenti per poter accedere ad un lavoro regolare significa affrontare un complesso iter burocratico che molto difficilmente va a buon fine. Per non parlare dei vincoli da rispettare per chi è in accoglienza e si vede costretto a rinunciare a offerte di lavoro importanti perché lontane dalle strutture in cui risiede. È quindi il sistema stesso che spinge ad accettare rapporti di lavoro tutt’altro che dignitosi, alimentando diverse forme di caporalato e di lavoro nero. 

Quali sono secondo voi i principali miti da sfatare quando parliamo di migrazioni?

Un primo mito da sfatare è quello dell’accogliere in nome del “siamo tutti uguali”, un’affermazione alquanto subdola che, come sottolinea Marco Aime, “ci porta a legittimare l’Altro soltanto perchè è uguale a noi e non perchè è diverso e come tale va rispettato.” Aime ci fa riflettere che “tra un’idea di uguaglianza astratta e l’erezione di barriere culturali che si presumono insormontabili c’è quella vasta striscia di terra di nessuno che, proprio perché è di nessuno, consente il dialogotra gli individui.” La conoscenza dell’Altro è un difficile cammino su sentieri di cui occorre riconoscere e accettare anche i confini; a volte ci sembra che il mito dell’“inclusione a tutti i costi”, immancabile quando si parla di migrazioni, non sempre includa il punto di vista altrui. Troppo spesso si rischia di fare coincidere l’inclusione con l’assimilazione e le persone come portatrici di idee precostituite su “altre culture.” 

Un altro mito da sfatare è quello del Paese accogliente a cui bisogna essere riconoscenti sempre e comunque. Qua riprendiamo le parole di Ismail, il protagonista del libro di Elvira Mujčić, Consigli per essere un bravo immigrato: “Per qualche strana ragione una persona che proviene da una guerra o da un Paese povero perde automaticamente le sembianze umane e, assieme alle sembianze, anche i bisogni, i desideri, i progetti. In poche parole smette di essere un essere umano, e qualsiasi richiesta che riterremmo normale per un essere umano, mossa da un immigrato è uno sputo nel piatto in cui mangia e dal quale deve mangiare qualsiasi cosa ci sia, perchè è sempre meglio di quello che aveva e se non gli va bene se ne torni da dove è venuto”.  

Grazie mille del tempo che ci avete dedicato e per l’importante lavoro che svolgete per la nostra comunità!