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Chi siamo

Abitare la Terra 2030 è un servizio di informazione gratuito curato da Fondazione Fontana onlus e sostenuto dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani assieme al Non Profit Network-CSV Trentino. Fondato sui temi della promozione e sviluppo del volontariato, della cooperazione internazionale e tutela dei diritti e promozione della pace, si muove nella cornice dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

Tutte le alternative di cui abbiamo bisogno

Lo scorso novembre, CSV Trentino (nell’ambito di un più ampio progetto promosso insieme a CSV Marche, CSV Padova e CSV Net) ha dedicato una giornata intera a riflettere sul rapporto tra volontariato e attivismi. 

ARIA | Spazi di contaminazione tra volontariato e attivismo è stata, dunque, un’occasione in più per dire ad alta voce cosa funziona e cosa no, quello che desideriamo e ciò di cui abbiamo bisogno. È stata l’occasione per parlare delle cose urgenti, quelle da affrontare prima che sia troppo tardi: questo senso d’urgenza nasceva da tre considerazioni e da alcuni numeri.

Bisogni, desideri, pratiche quotidiane

Quale ruolo possono avere le organizzazioni di volontariato e quale l’attivismo di fronte a tutto quello che ci succede intorno? 

Davanti alle crisi concatenate (climatica, politica, demografica, sociale, economica) e ai conflitti in costante espansione (sia in termini geografici che di orrore e intensità), il ruolo delle parti sociali sembra spesso schiacciato da una cronaca insostenibile. Allo stesso tempo sappiamo bene (perché la Storia lo insegna o banalmente per le nostre esperienze quotidiane) che il ruolo delle parti sociali (dal micro al macro, e ritorno) non è affatto secondario. Porsi domande su questo ruolo e su come renderlo attuale e innovativo allo stesso tempo significa anche affrontare meglio i bisogni materiali e non delle persone, rispondere ai loro desideri, innescare pratiche quotidiane capaci di (ri)generare cambiamenti reali

L’esperienza quotidiana di chi lavora “nel sociale” o con le comunità (tanto in contesti urbani quanto nei territori rurali), di chi fa volontariato oppure è attivista (o la somma di queste caratteristiche) è attraversata da alcune domande: come facciamo ad andare avanti? Ce la faremo anche il mese prossimo? Qual è il senso di ciò che facciamo? Faremo abbastanza? Come rispondiamo alle crisi e ai bisogni, con le nostre azioni?

Riflettere attorno al ruolo di volontariato e attivismi, in particolare, significa trovare strumenti per non confondere i piani e immaginare alleanze più solide. L’obiettivo comune rimane lo stesso: contribuire, insieme, a vivere “meglio”, più felici, rimuovendo gli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono lo sviluppo della personalità. 

Chi parla bene, pensa bene

Creare nuove interdipendenze, dunque, ma anche discuterne e farlo meglio. Come parliamo di volontariato e di attivismo? Quali parole usiamo per descrivere il Terzo Settore nel suo complesso? Un diverso dibattito attorno a questi tre mondi non solo è possibile ma ne abbiamo anche un certo bisogno: i dati che riguardano queste forme di aggregazione sociale offrono alcuni spunti. 

ISTAT ha osservato, tra il 2015 e il 2021, un calo del –15,7% di volontariə attivə nelle istituzioni non profit, un trend che trova conferma anche nel Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile là dove, a scavalco della pandemia, evidenzia un calo considerevole anche nelle forme più leggere di partecipazione sociale, come aver preso parte alle iniziative di queste associazioni (-5,8% è la media italiana; per il Trentino, il calo è stato del -11%). Contemporaneamente aumenta l’indicatore relativo alla partecipazione civica o politica (5,6% a livello nazionale; 5,8% a livello provinciale) a segnalare che, probabilmente, abbiamo bisogno di interpretare in modo diverso quello che avviene attorno a noi.

Dati ISTAT espressi in % sulla popolazione over14. Dati elaborati a partire dalla dashboard sul Rapporto BES di ISTAT

Italia  Provincia Autonoma di Trento 
2019  2022  Var.  2019  2022  Var. 
Svolge attività di volontariato  9,8  8,3  -1,5  26,4  18,9  -7,5 
Persone che, negli ultimi 12 mesi, hanno finanziato un’associazione   13,4  12,8  -0,6  28,1  24,0  -4,1 
Persone che ritengono che la più gran parte della gente sia degna di fiducia  23,9  24,3  +0,4  34,1  40,1  +6,0 
Persone che hanno amici, vicini o persone (non familiari) su cui poter contare  81,5  81,0  -0,5  85,1  84,6  -0,5 
Partecipazione civica o politica (anche attraverso attività indirette come: parlare di politica, informarsi dei fatti della politica italiana, leggere o postare opinioni sul web e partecipare online a consultazioni o votazioni)  57,9  63,5  +5,6  64,5  72,3  +5,8 
Partecipazione sociale (aver partecipato alle attività di associazioni varie di tipo ricreativo, culturale, politico, civico, sportivo, religioso o spirituale)  31,3  25,4  -5,9  43,7  32,7  -11,0 
Fiducia nei partiti  3,2  3,3  +0,1  3,2  3,1  -0,1 

Questi dati raccontano la trasformazione delle forme del volontariato e dell’attivismo: la crisi delle prime e l’apparente slancio delle seconde riguarda molti fattori differenti. Ne nomino alcuni, secondo me importanti, e che anche durante ARIA sono stati spesso discussi.

C’è una questione di potere, inteso come strumento da esercitare che come possibilità (economica, sociale e culturale) di fare delle scelte, di investire parte del proprio tempo nel volontariato come nell’attivismo e nello scegliere quale forma risulta più efficace per rispondere ai bisogni di ciascunə. 

C’è una questione di accessibilità che riguarda questioni di carattere economico e culturale, certo, ma anche dinamiche di genere che tendono a penalizzare sempre la partecipazione femminile oppure razziali, che mantengono forte la segregazione anche all’interno delle organizzazioni che, poi, di quelle questioni si trovano a discutere quotidianamente. 

C’è una più ampia questione demografica che interseca e rende difficile affrontare tanto il tema del ricambio generazionale quanto la capacità di riconoscere provenienze, culture, sguardi anche radicalmente differenti da quelle dellə giovani degli anni ‘70 e ‘80 che oggi popolano per la gran parte le organizzazioni di volontariato (e che rendono, invece, più affascinante e attrattivo l’attivismo, specie se meno strutturato).

Crisi e cura

La crisi ha significato la messa in discussione di quelle che fino ad allora erano state le nostre consuetudini, le nostre istituzioni e i nostri punti di riferimento. Tuttavia c’è il rischio costante, ogni qualvolta si passino al vaglio istituzioni e movimenti, che la nostra totale adesione e appassionata devozione a una causa possa precluderne ogni analisi critica”: lo scriveva nel 1946 Saul Alinsky, uno che oggi proveremmo a raccontare come “agente di comunità” nella Chicago delle crisi industriali, della segregazione razziale e sociale. 

Le modalità e i rituali che caratterizzano volontariato e attivismo rappresentano una sfida e un’opportunità. Concepire, dalla scala locale a quella globale, relazioni basate su una cura consapevole significa superare la logica della competizione per pratiche collaborative più faticose ma più efficaci. “Agire Insieme”, come suggerisce Secondo Welfare, per tentare di rompere il dogma del “non ci sono alternative” per “uscire dalla logica della competizione e di relazioni pubblico-privato imperniate sul contracting out e l’abbattimento dei costi”. Nel farlo, le diverse realtà del secondo welfare vogliono ragionare su “l’adozione invece di un nuovo modello collaborativo e partecipativo, più impegnativo ma anche potenzialmente più efficace del tradizionale sistema ‘bandi e contratti’”. 

Allo stesso tempo, leggere il cosiddetto “paradigma della cura” come uno strumento di presa in carico collettiva e democratica (da qui l’idea di cura con) rappresenta una chiave di lettura necessaria e lo stimolo più forte per costruire tutte le alternative di cui la contemporaneità ha bisogno.